"C'è oggi un essere al mondo - di donne, ma non esclusivamente - che fa vedere e dire, senza tanti giri o ragionamenti, che il patriarcato è arrivato alla fine;
è un essere al mondo essendo disponibili alla modificazione di sé in un rapporto di scambio che non lascia niente fuori gioco.
Potremmo chiamarla leggerezza. Oppure, libertà femminile.
GENNAIO 1996
E' ACCADUTO NON PER CASO
il patriarcato è finito - il simbolico che ride - uomini - l'universale come mediazione - fino a quando?- un discorso poco plausibile ma urgente - al posto dell'io/noi/loro -
il luogo della libertà -"yo no soy para más de parlar" - è accaduto
il patriarcato è finito
Il patriarcato è finito, non ha più il credito femminile ed è finito. E' durato tanto quanto la sua capacità di significare qualcosa per la mente femminile. Adesso che l'ha perduta, ci accorgiamo che senza non può durare. Non si trattava, da parte femminile, di un essere d'accordo. Troppe cose furono decise senza e contro di lei, leggi, dogmi, regimi proprietari, usanze, gerarchie, riti, programmi scolastici... Era, piuttosto, un fare di necessità virtù. Che però adesso non si fa più, adesso è un altro tempo e un'altra storia, tanto che le cose decise senza e contro di lei, si sono messe a deperire, come se avessero sempre obbedito a lei. Che strano! Ma, forse, per i rapporti di dominio vale quello che vale per l'amore, che bisogna essere in due? Adesso lei non ci sta più, non è più la stessa: è cambiata, come si dice. Ma non dice abbastanza. Non si tratta infatti di un cambiamento qualsiasi.
C'è oggi un essere al mondo - di donne, ma non esclusivamente - che fa vedere e dire, senza tanti giri o ragionamenti, che il patriarcato è arrivato alla fine; è un essere al mondo essendo disponibili alla modificazione di sé in un rapporto di scambio che non lascia niente fuori gioco. Potremmo chiamarla leggerezza. Oppure, libertà femminile, perché, al suo confronto, i vantaggi del dominio patriarcale spariscono, agli occhi di lei e di lui. Simili vantaggi esistono, per esempio l'identità: il dominio offre identità a chi lo esercita ma anche a chi lo subisce, e molta servitù si perpetua proprio per il bisogno di identità. Il patriarcato che non fa più ordine nella mente femminile, deperisce principalmente come dominio datore di identità. Lei, ormai, non gli appartiene più; il resto seguirà, e già segue, a un ritmo che scombussola e che molti, che magari si credono più intelligenti, neanche afferrano.
Si potrebbe obiettare: se quello che dite è vero, com'è che non è evidente a tutti? Una cosa talmente grande, se è vera, dovrebbe essere evidente. Lo è, infatti, ma per essere vista domanda l'impegno di una presa di coscienza. Lo è ogni giorno di più. Fino a un anno fa si poteva ancora credere che si trattasse di un cambiamento culturale e limitato al mondo industrializzato ricco. Con la Conferenza del Cairo (1994), con il Forum di Huairou e la concomitante Conferenza di Pechino (1995), è diventato chiaro che la fine del patriarcato sta coinvolgendo tutti i paesi del mondo, un mondo attraversato, quasi di colpo e insieme, da enormi cambiamenti, fra i quali c'è anche la fine del patriarcato. Vuol dire che è finito, o comincia a finire, il controllo del corpo femminile fecondo e dei suoi frutti, da parte dell'altro sesso. Hanno contribuito a questo esito lo sviluppo economico, che ha sciolto molti vincoli di dipendenza familiare, e la medicina, con la riduzione della mortallità infantile e i metodi anticoncezionali, per quanto grossolani e criticabili. Ma il progresso economico e scientifico di suo non avrebbe significato libertà se non fosse stato accompagnato dalla presa di coscienza femminile e, cosa più importante, non fosse stato preceduto e quasi anticipato dall'amore femminile della libertà. Quando gli esperti e i responsabili dei problemi demografici si sono decisi ad interrogare le donne, che cosa hanno scoperto? Che c'è una diffusa (e disattesa) domanda femminile di cultura e di aiuti per poter abitare liberamente il proprio corpo fecondo. Tanti soldi sono stati spesi in campagne demografiche talvolta poco rispettose della dignità umana (come dare soldi a chi si faceva sterilizzare), che potevano essere impiegati meglio andando incontro alla domanda femminile di autonomia fisiologica.
Per il Forum di Huairou, che riuniva le organizzazioni femminili non governative, si è parlato di un "nuovo femminismo". L'espressione è giusta per la vasta rete di rapporti internazionali e intercontinentali, che in verità esisteva dagli inizi del femminismo ma che a Huairou (e, ancor prima, al Cairo) ha mostrato una migliore capacità di oltrepassare contrapposizioni e fossati di una storia prevalentemente maschile, come quella fra paesi ex-colonizzatori e paesi ex-colonizzati. Sarebbe invece sbagliato parlare di nuovo femminismo per la volontà di rafforzare la presenza di donne nel governo del mondo non in nome della parità con l'uomo, ma in nome della differenza femminile. L'atteggiamento femminista non è mai stato rivolto unicamente (né principalmente, per quel che riguarda l'Italia) al confronto con la condizione maschile, ma al senso libero della differenza femminile, che è stato conquistato, passo passo, non con lo strumento legislativo, ma con la pratica di relazione fra donne.
Chi vuole documentarsi, legga gli scritti dell'italiana Carla Lonzi (1931-1982) e Le tre ghinee (1938) di Virginia Woolf. L'impegno di dare un senso originale, libero, alla differenza di essere donne, va detto che è più antico dei progressi scientifici, più del femminismo e più della rivoluzione borghese. Come non c'è soluzione di continuità fra Huairou-Pechino e gli scritti di Carla Lonzi o Il secondo sesso (1949) di Simone de Beauvoir o Susan B. Anthony (1820-1906), soprannominata da Gertrude Stein "la madre di tutte e tutti noi" (The Mother of Us All), così c'è continuità anche con le Preziose del Sei-Settecento, con le Beghine del sec.XIII, con Ipazia d'Alessandria, la filosofa martire della convivenza fra cristianesimo ed ellenismo, trucidata nel 415 d.C. da cristiani fanatici.